IN EVIDENZA

CRITICHE ALL’ABUSO DEL DIRITTO

Lunedì 20 Febbraio 2017

Come sempre, molto si può apprendere da Gaspare Falsitta. Nell’articolo “Note critiche intorno al concetto di abuso del diritto nella recentissima codificazione” in Rivista di Diritto Tributario n. 6 del 2016, viene criticata la normativa sull’abuso del diritto di cui all’art 10-bis L. 212/2000 e di cui alla raccomandazione 772/2012 UE.
Secondo il Professore, che richiama il pensiero di L. A. Muratori “quante più parole si adopera in distendere una legge, tanto più scura essa può diventare”, l’art. 10-bis, L. 212/2000, ricomprende nell’alveo dell’abuso anche le “costruzioni finzionistiche”, mentre dovrebbe limitarsi alle operazioni elusive che erano ben identificate nel comma 1 e 2 dell’art. 37-bis, D.P.R. 600/1973, (tanto che del tutto irragionevole era la limitazione del principio alle sole operazioni elencate nel comma 3 del medesimo articolo). Le “costruzioni finzionistiche” configurano, invece, vera e propria “evasione” per la quale devono valere le ordinarie regole dell’accentramento con le conseguenze sanzionatorie (amministrative e penali) normalmente applicabili.
Le condotte elusive, al contrario, si caratterizzano nell’utilizzo di norme con un comportamento distorto che consente l’ottenimento di vantaggi fiscali derivanti dalla non applicazione delle norme “eluse”.
Il Professore evidenzia altresì che la normativa criticata deriva da interpretazioni giurisprudenziali anch’esse sbagliate, in quanto hanno cercato di colmare “supposte ma, in realtà inesistenti lacune dell’ordinamento vigente”.
La nostra opinione è più radicale e ritiene che “abuso del diritto” sia un ossimoro: se c’è un diritto codificato chi lo esercita non può essere punito a prescindere dagli effetti, altrimenti non è un “diritto”. Se da tale esercizio emergono dei vantaggi che non erano quelli voluti dal (sempre più mediocre) legislatore, deve essere un problema dell’ordinamento e non di chi applica le regole dallo stesso dettate. In caso contrario si dovrà continuare a vivere in una situazione di perenne incertezza dove solo l’alea regolerà la vita del contribuente, come nel più cupo medioevo. Ed è proprio da questa impostazione che nascono gli accertamenti che equiparano la cessione della partecipazione in società alla cessione di azienda.

FONTE: Gaspare Falsitta, Rivista di Diritto Tributario, n. 6 del 2016
Commento di Alvise Weisz
archivio news
×